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2.1
Medici

Mendelssohn parlava, e le sue parole si disperdevano nella stanza come se non riuscissero a trovare un punto d’appoggio, fluttuando nell’aria, deboli e leggere, come un pensiero mai del tutto afferrato. Un tempo, disse, le malattie si mostravano chiaramente. Ogni infezione, un nemico visibile, ogni dolore, un ostacolo che potevi curare con il giusto rimedio. Un segno sulla pelle, una febbre che arde. Ma ora… ora ci troviamo davanti a qualcosa che non possiamo toccare, qualcosa che non possiamo comprendere. Nessuna febbre, nessun dolore. Solo una presenza che si nasconde nell’assenza.

Ariadne ascoltava senza muovere un muscolo, le sue parole, quando arrivarono, caddero come pietre in un lago immobile. "Il vuoto, Mendelssohn? Forse non c’è nulla. Forse non c’è mai stato nulla. Siamo così ossessionati dall’idea che ci debba essere sempre un senso, che ci dimentichiamo dell’assenza. Il corpo non mente. Se non ci sono segni, se non ci sono sintomi... non c’è malattia." Le sue parole sembravano scolpite nella pietra, definitive, senza possibilità di replica.

Mendelssohn non rispose subito, lasciando che il silenzio riempisse il vuoto tra loro, come un intervallo che suggeriva che c’era qualcosa di più profondo dietro le sue parole. "L’assenza non è vuoto, Ariadne," disse infine, a bassa voce. "Non sempre si manifesta con segni visibili. A volte si nasconde, si ritrae come un’ombra che non riusciamo a vedere. Ma se la ignoriamo, cresce. Silenziosa, invisibile, ma presente."

Basilisco si agitava sulla sua sedia, il giovane medico che ancora cercava di orientarsi in un mondo che gli sfuggiva. "Ma se non c’è nulla da vedere… da dove proviene questo dolore?" La sua voce era quasi un sussurro, come se temesse la risposta. "Se non c’è febbre, se non c’è nessun segno... che cosa stiamo cercando di curare?"

Ariadne lo fissava, fredda e distante, come se stesse parlando con qualcuno che non capiva l’ovvio. "Esatto, Basilisco. Se non c’è nulla da curare, non c’è nulla. Creare problemi dove non esistono è una follia. Noi dobbiamo trattare il concreto, ciò che possiamo vedere, ciò che possiamo toccare. Non ci occupiamo delle ombre."

Mendelssohn la guardava come si osserva un paesaggio desolato, cercando qualcosa che non riusciva a trovare. "Il concreto?" ripeté. "Pensi davvero che il corpo si limiti alla pelle? Che non ci siano fili invisibili che lo collegano al mondo? Il corpo è una trama, una rete di legami che si intrecciano con ciò che lo circonda. Uno squilibrio non è solo nella carne. È nel vento che soffia, nell’aria che respira, nei gesti non compiuti. Ignorare questo è condannare il malato."

Basilisco, che si sentiva sempre più piccolo in quel confronto, cercava di seguire il filo del discorso, ma ogni parola sembrava allontanarsi sempre di più. "Dobbiamo curare anche l’aria?" chiese, la sua voce tremante. "Il vento? Le persone che lo circondano? Non possiamo essere responsabili di tutto."

Ariadne lo guardò, e poi fissò Mendelssohn come se fosse una figura lontana, appartenente a un mondo diverso. "No, non possiamo. Non siamo responsabili di tutto ciò che è invisibile. Noi ci occupiamo della carne, delle ossa, del sangue. Il resto non ci riguarda. Non siamo maghi, Mendelssohn."

"Non siamo maghi," ripeté Mendelssohn, come se riflettesse su quelle parole. "Eppure ignoriamo la magia che ci circonda. Non vedi, Ariadne? Quando una Sovrana cade malata, non è solo il suo corpo a soffrire, ma tutto il Regno. Se non riconosci questo, non stai davvero curando."

Ariadne sollevò un sopracciglio, un gesto lento, come se trovasse quella dichiarazione quasi divertente. "Curare un corpo non significa interpretare le sue metafore. Ci occupiamo di ciò che è reale, tangibile. Il resto… il resto sono storie che la gente si racconta per dare senso alla propria vita."

Mendelssohn sorrise, ma era un sorriso amaro. "Il corpo è un racconto che si svela attraverso ogni cicatrice, ogni gesto. Quando curiamo una ferita, non stiamo solo rimarginando la carne. Stiamo scrivendo un nuovo capitolo in quella storia. E quando un capo cade, non è solo la sua carne che soffre, ma tutto ciò che rappresentava. Curare una ferita senza ascoltare la storia che porta è curare a metà."

Basilisco cercava di afferrare il senso di quelle parole, ma sembrava che ogni cosa sfuggisse sempre di più. "Ma... come possiamo sapere dove fermarci? Dove smettiamo di curare?"

Ariadne, con la sua solita calma glaciale, voltò lo sguardo su Mendelssohn. "Questo è il problema, Mendelssohn. Tu non conosci limiti. Tutto per te è intrecciato, tutto si prolunga all’infinito. Ma così facendo ti perdi. Se curi tutto, non curi nulla. Il guaritore più saggio è colui che sa dove fermarsi."

Mendelssohn rifletteva, come se le parole si stessero trasformando in un'eco che si perdeva nella stanza. "I confini... sono solo illusioni. Illusioni che creiamo per sentirci sicuri. Non dobbiamo sempre agire, certo. Ma ignorare tutto? A volte la vera cura sta nel lasciare che le cose trovino il loro corso. Senza che le nostre mani interferiscano. Ma questo, lo so, è difficile da accettare."

"Attendere?" Ariadne scosse la testa, quasi divertita dalla semplicità della proposta. "Attendere mentre la malattia si diffonde? E cosa faremo, Mendelssohn? Staremo lì a guardare, in silenzio, mentre il dolore cresce? Il non agire non è una scelta. È una resa."

Mendelssohn la fissò, la sua espressione calma, come se venisse da un altro tempo, da un altro luogo. "Non una resa," disse. "Un rispetto per le forze che non possiamo comprendere. A volte, la nostra arte sta nel sapere quando non intervenire."

Basilisco sussurrò, quasi timoroso. "Ma... se sbagliamo a non fare?"

Mendelssohn lo guardò a lungo, come se cercasse una risposta nel volto del giovane. Poi, con voce calma, disse: "Non possiamo mai sapere davvero. È questo il peso della nostra arte. A volte, il corpo parla più forte nel silenzio. E il nostro compito, in quei momenti, è saper ascoltare quel silenzio."

Ariadne non si mosse, la sua figura immobile come una statua antica. "Lasciare che la natura faccia il suo corso?" mormorò, la voce soffocata da una rabbia sottile. "Il rischio non è nostro, Mendelssohn. Il rischio è su chi soffre."

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